domenica 11 dicembre 2016

L’INGANNO DEL VESTITINO BIANCO …







(di:   Luciana Morelli)



SECONDA PARTE




A quel tempo la polizia si chiamava “la celere” avevo circa 10 anni
quando entrai nella cucina dei militari.
 
Quello che videro i miei occhi fu meraviglioso!!
 
Tanto cibo, tanto da mangiare, notai anche un lavello pieno di piatti
da lavare, e incominciai a lavare senza essere stata invitata fu una mia
iniziativa.
 
Nel vedermi rimasero stupiti il cuoco e i loro aiuti da questa bimba
che si dava da fare, con occhio benevolo il cuoco mi preparò qualcosa
da imboccare, specialmente i primi tranci dei rotoli di carne, me li
imboccava di nascosto, la prima fettina di ogni cosa.
 
La cosa mi piacque tanto che andavo anche di sera, così gli avanzi
di cucina arrivavano sulla tavola dei miei...
 
 Il più piccolo dei miei fratelli aspettava ansioso il mio ritorno per
gustare un pasto.
 
I giorni passarono in fretta, e la mia presenza fu notato dal capitano, lui
passava tutti i giorni per “l’assaggio” per dare il consenso al cuoco e
lui negò la mia presenza in cucina... Mamma non ci voleva!!!
 
Lo chef mi nascondeva in un pentolone con il coperchio e quando
andava via ne venivo fuori, ma la cosa durò poco perchè si rese conto
che la mia presenza era assidua, fin quanto non decise di chiudere
tutti e due gli occhi, e a quel punto ero io a portare il vassoio per
l’assaggio, diceva che ero troppo carina e simpatica, lui ne assaggiava
un po' ed il resto lo mangiavo io, riportando al cuoco il vassoio vuoto.
 
Tutti i militari si erano affezionati alla mia presenza, chi mi offriva
il pane che non mangiava, chi la frutta, ed io correvo a casa a depositare
il bottino, visto che ero a due passi, e poi tornavo a fare il mio dovere,
lavare e pulire patate.
 
Ricordo con piacere un militare il cui cognome era Brigante, ma il suo
affetto era sincero, che alcune volte mi portava al cinema e poi mi
riaccompagnava a casa, mi voleva bene come ad una sorellina.
 
Mentre un altro aveva pensato di adottarmi sposato e senza figli, mi sarei
dovuta trasferire a Milano, in compenso mi avrebbe comprato una
pelliccetta bianca.
 
Io già mi vedevo nella mia pelliccia avvolta in una nuvola, ma mia madre
pur essendo tentata pensando che sarei vissuta meglio, rifiutò l’adozione.
E così passarono altri anni…
 
A quel tempo il partito Comunista dava la possibilità di mandare i
bimbi bisognosi nei paesi circostanti, in case di contadini per nutrirli
meglio e così ci ritrovammo una ventina di noi allineati nel centro
della stazione per essere scelti, ed io fui tra i 20.
 
Salii su un camion militare e dentro c’erano dei banchi posti a destra e
a sinistra , un cestino con dentro un panino ed un arancio, felici di questo
mangiammo… e cantando per tutto il tragitto, fin quando arrivammo in
una piazzetta di Collecorvino, dove trovammo i contadini vestiti a festa.
 
E con un gran altoparlante dove si cantava Bandiera Rossa, e di li
cominciò l’assegnazione alle famiglie, proprio come la vendita dei
cavalli, chi arrivava prima sceglieva la più bella…
 
Per dirla tutta ero veramente la più bellina, con le treccine legate ed un visino tutto
tondo, fui la prima ad essere scelta, con il patto che finita l’estate sarei
tornata a casa.
 
Arrivati in fattoria, trovai una giovane coppia, con i due che
subito si innamorarono di me, proponedomi un’ennesima adozione.
 
Mi trovavo veramente bene ma dopo un mese circa vidi arrivare mia
madre a piedi!!! 30 km a piedi da Pescara, non c’erano soldi e mezzi
per il trasporto, e con grande gioia mi misi a piangere.
 
Fecero la stessa proposta a mia madre che categoricamente rifiutò,
ma acconsentì a lasciarmi per i tre mesi successivi.
 
Il ritorno a casa fù una bella gita sulla canna di una bici da uomo, con un pollo vivo
appeso per le zampe, formaggi farina e tante provviste, e 200 lire con
la promessa che avrei scritto per tenerli informati...
 
La cosa fu rispettata per un pò di tempo, ma come si sa il tempo
cancella tutto.
 
Fu così che arrivai a 13 anni e passando in corso Manthonè vicino
la casa di D’Annunzio che il mio cuore e i miei piedi non vollero
più camminare.
 
C’era in vetrina un vestitino di pizzo bianco.
 Era il mio sogno!!!
 
 Accanto c’erano anche un paio di calzine rosa con merletto, era
un sogno, impossibile comperarlo, lo sognavo di notte.
 
Ogni minuto che avevo ero sempre ferma davanti la vetrina, e la mia fantasia
correva come il vento danzando sulle nuvole...
 
Perdevo la cognizione del tempo...
 
Mia madre poggiandomi una mano sulla spalla mi propose un lavoro,
se avessi accettato di lavorare presso una signora per accudire il suo
bambino, il vestito sarebbe stato mio. Accettai immediatamente senza
pensarci due volte. Ma la cosa risultò alquanto disgustante.
 
Al mattino quando iniziavo il lavoro la prima faccenda da fare era
lavare i panni del bimbo in una enorme vasca piena di acqua e di tutto ciò
che il bimbo faceva durante la giornata precedente, tanto era pieno che
si tappava la vasca ed io con un dito cercavo di mandar giù la melma,
ed io con le mie manine tenere affrontavo una faccenda più grande di me,
con tanto schifo addosso...
 
 
I mesi passarono ma dell’abitino bianco non vedevo l’arrivo…
 
Nell’adare e nel ritorno dal lavoro mi fermavo sempre ad ammirare,
era il mio svago, il mio sogno. Era li che qul bel Vestitino mi aspettava,
ma le 4 mila lire servivano per la mia famiglia, ma continuavo a sognare…
e ancora oggi… sogno l’abitino bianco!
 
Ma la mia disperazione avvenne un giorno che nel passare davanti
al negozio non vedo più il vestito, e lì caddero tutte le mie illusioni…
Piansi talmente tanto, da non riuscire più a fermare le lacrime… erano
finite le mie illusioni, non trovai neanche più le calzine rosa, era come
se mi fosse caduto proprio il mondo addosso. E così che iniziai il mio
cammino di rassegnazione.
 
Arrivò anche che mi fratello Lelio crebbe e stanco dei soprusi di
nostro padre verso nostra madre sferzò un pugno sul suo volto
per difendere la minuscola donna e lo lasciammo solo alla sua vita.
 
Così fu che la nostra famiglia radunò le forze di noi giovani... La nostra
famiglia povera ma felice.... Ricordo il lavoro in fabbrica dove acquistai
il mio primo paio di scarpe verdi. Di notte le sognavo, inquietante sogno,
 
“si erano rotte!”…
 
E al mattino, nonostate sapessi che non era vero… dovevo controllare
se tutto era al proprio posto… se loro erano tutte integre.
 
Abbiamo unito sempre le nostre forze, collaborato tutti insieme …
La grande fame del dopoguerra era finita, mi sentivo ricca della mia
gioventù, e continuavo a sognare un futuro felice, anche se non fu
proprio così.
 
A 25 anni conobbi mio marito, non fu un grande amore, ma desideravo
tranquillità e serenità, ma la realtà tornò a far capolino nella mia vita.
Persi il mio primo figlio, in seguito necquero altri due i grandi amori
della mia vita, che mi hanno regalato quattro splendidi nipoti Bravi figli
e bravi nipoti.
 
Ora che mio marito non c’è più mi rendo conto che non solo sono circondata
dai miei figli e i miei nipoti, ma la mia casa è sempre piena di gioventù,
tutti i figli dei miei fratelli mi amano e i miei fratelli continuano ad amarmi
ed io a loro…
 
Si’ che la storia continuerà… finchè morte non ci separi.
 
 

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